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Il Buon Samaritano

nel Vangelo e nell'opera di Paride Pascucci

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«Ed ecco, un dottore della Legge si alzò per metterlo alla prova e chiese: “Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?″ (Luca 10,25). Da buon educatore Gesù stimola la risposta del suo interlocutore, rinviandolo alla Legge. Lo scriba risponde, citando i libri del Deuteronomio e del Levitico, che bisogna amare Dio con tutto se stesso e il prossimo come se stesso. “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai” gli dice Gesù». 

 

Ma lo scriba, volendo giustificarsi chiede a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» (Luca 10,28-29). La domanda del dottore della Legge ripropone l’idea di prossimo che abbiamo anche noi, dopo 2000 anni dalla parabola che Gesù racconta subito dopo: il mio prossimo sono gli italiani, bianchi, rispettabili, anzi forse solo quelli della mia regione o delle mie tendenze politiche e religiose. Questa è l’idea degli israeliti e questa è la nostra idea, sostanzialmente.

Gesù, ancora una volta da buon pedagogo, invece di perdersi in tante spiegazioni racconta una delle più belle parabole di tutto il Vangelo, forse la più bella e la più stringente come attualità, dopo che l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per i respingimenti indiscriminati di profughi provenienti dalla Libia e dopo che partiti e leader politici che si appellano cristiani hanno fatto la loro fortuna con atti razzisti e discriminatori.

Meditando sulla parabola del Buon Samaritano (cf Luca 10,30-35), potrebbe essere utile pensare e far pensare ai nostri interlocutori ad una razza, ad un gruppo, ad una famiglia che non riusciamo a sopportare e per la quale nutriamo sentimenti negativi, fino all’odio. Siamo specializzati a cercare il nemico sempre, quello su cui far ricadere i nostri problemi personali e sociali, il famoso capro espiatorio o la proiezione del male su un altro, che ci fa sentire a posto: qualche anno fa il nemico erano gli albanesi, poi i romeni, i negri, gli zingari, dipende dai tempi…

«Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto». Queste cose succedono anche oggi, capita anche che chi passa e vede questo cambi strada per paura, per non correre rischi o, più semplicemente, per non avere problemi. Anche nella parabola passa un sacerdote che riveniva dal culto nel tempio e, alla vista del povero «mezzo morto», passa oltre; così fa anche un levita, un addetto al culto (forse un ministrante si direbbe oggi?) e fa lo stesso. Forse il sacerdote ed il levita non sono particolarmente cattivi, duri di cuore, ma semplicemente volevano mantenere la propria purezza cultuale e non contaminarsi con il sangue: il culto prima di tutto, ci penserà qualcun altro al disgraziato mezzo morto.

Colpo di scena: passa un Samaritano, il nemico, il non prossimo dei giudei, un eretico, come tutti quelli del suo popolo che non riconosceva il tempio di Gerusalemme e considerava sacri solo i primi cinque libri della Bibbia, il Pentateuco. E questo uomo da disprezzare dimostra di avere il sentimento che sgorga dal cuore del Padre e che il Figlio fa sperimentare alle persone che incontra: un amore che si prende cura, che ha compassione. E il Samaritano fa tutto quello che poteva fare, nell’immediato e per il prossimo futuro, per essere utile, per salvare il “mezzo morto”. Al posto del Samaritano possiamo mettere il nemico a cui abbiamo pensato prima e pensare che Gesù lo porta come esempio.

Dopo questa parabola, Gesù, sempre da sapiente educatore, fa tirare le conclusioni al suo interlocutore: chi ti è sembrato il prossimo del mezzo morto? E lo scriba non può che riconoscere che il prossimo è «Chi ha avuto compassione di lui». E Gesù conclude efficacemente: «Va’ e anche tu fa’ così».

Il pittore Paride Pascucci rappresenta il momento centrale della parabola, quando il Samaritano, abbigliato all’orientale, si china con compassione verso il corpo immobile del ferito. Il pover’uomo è nudo, solo un panno gli copre il pube, ha le gambe e le braccia divaricate e gli occhi chiusi. E’ caduto su un deserto di pietre, che caratterizza il primo ed i secondi piani dell’opera; vicino ha due panni, che gli sono stati strappati di dosso dai rapinatori. Il Samaritano rimane anonimo, non mostra il volto coperto dal cencio avvolto nella testa e piegato verso il volto del ferito. Poco sopra passa la strada, dove è stato lasciato l’asino del soccorritore e dove, sulla sinistra, si allontana il levita che con la mano sinistra fa una specie di scongiuro. Il levita è seguito da un cane, non sappiamo se proposto, secondo la Bibbia, come creatura impura e spregevole, in riferimento al personaggio che lo precede, o come citazione dell’ambiente maremmano. L’ambiente familiare al pittore è riproposto come sfondo del quadro: la raffigurazione del Mar Morto richiama quella del lago di Bolsena, con le colline che gli fanno da contorno. Alla Maremma fa riferimento anche il grande albero sulla sinistra, dove pascola l’asino, che sembra una quercia. Sullo sfondo un cielo con molte nubi ricorda un tramonto, sembra in riferimento al levita, mentre una fascia di luce illumina il ferito ed il suo compassionevole soccorritore.

La parabola viene raffigurata con una profonda umanità, fonte di un insegnamento sempre valido: il fuoco visivo e significativo del quadro è lo sguardo compassionevole del Samaritano, che si intuisce pur non vedendolo e le sue mani che, con energia e delicatezza, cercano di sollevare il ferito. Evidentemente Pascucci si riconosce nella visione umana e spirituale che Gesù propone in questa parabola.

Don Carlo Prezzolini


 

PARIDE PASCUCCI, POETA DELLA MAREMMA

Paride Pascucci nasce il 30 settembre 1866 a Manciano, cittadina della Maremma ai confini con il Lazio; in questo stesso paese muore il 1 luglio 1954. Di modeste origini sociali, di salute cagionevole, dotato di una forte sensibilità, ad appena sette anni, con la morte della mamma, è colpito negli affetti più cari. Introverso e schivo, è un profondo ammiratore e conoscitore della vita quotidiana nella terra dove passa tutta la sua vita, con significative presenze a Siena, dove frequenta non regolarmente l’Accademia delle Belle Arti. In questa città tornerà, trentenne, nuovamente per studi artistici con una borsa di studi della fondazione Biringucci, collegata alla Società di Esecutori delle Pie Disposizioni, dal 1896 al 1902.

Di fronte alla cultura accademica e purista di Siena, Pascucci opera nella riscoperta della durezza e della drammaticità della vita quotidiana nella sua Maremma, ancora paludosa e malarica, dipingendo questa cruda realtà partendo da una grande ammirazione per i Macchiaioli, in particolare di Fattori, e dall’uso che fanno del colore. Laico di ispirazione, sensibile e solidale con le lotte sociali, custodisce interiormente una profonda spiritualità, che caratterizza i suoi quadri e i pochi temi religiosi che dipinge: in questi esprime la profonda umanità che anima ancora le tradizioni popolari, che si fondono con il vissuto quotidiano della sua gente. Ricordiamo la grande tela de Gli Apostoli, esposta nel 1909 alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, e da questa acquistata, o “Il Venerdì santo”.

La tela del Buon Samaritano è la sua prima opera importante e di grandi dimensioni (cm 145x232): la dipinge nel 1898 presentandola al concorso per il rinnovo della borsa di studi della fondazione Biringucci. L’opera è criticata dal purista Alessandro Franchi, in particolare per il paesaggio, che ritiene che manchi di “stile biblico”; tuttavia il Franchi non si opporrà al rinnovo della borsa di studio.

Per approfondire:

Paride Pascucci fra ‘800 e ‘900, catalogo mostra a cura di G. Marziali, Milano 1987

Paride Pascucci “Gli Apostoli”, Manciano 2006

Sul “Buon Samaritano: G. Pignotti, I pittori senesi della Fondazione Biringucci, Siena 1916, pp.223-231)

Settimanale Toscana oggi del 22/04/2012

Didascalia foto: Paride Pascucci, Buon Samaritano, olio su tela, Siena, museo di Santa Maria della Scala sala Biringucci delle Pie Disposizioni

 

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