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Il padre misericordioso

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La parabola del Padre misericordioso dipinta da Rembrandt

L’arte cristiana può essere un’eccezionale via di annuncio del Vangelo anche oggi, nella nostra civiltà delle immagini; le immagini colpiscono molto più delle parole e rimangono più impresse nella memoria; ricordiamoci che storicamente uno dei fini principali dell’arte cristiana occidentale è stato proprio quello di raccontare il Vangelo, la vita del Signore Gesù e la sequela dei sui amici, quelli che camminarono con lui nelle strade di Israele e quelli che nel tempo sono diventati suoi seguaci e annunciatori della Buona Novella.


Per promuovere la «via dell’arte all’annuncio del Vangelo» è necessario un impegno importante della Chiesa, con la formazione di animatori, la preparazione di idonei strumenti e di idonei repertori.

Un esempio della potenzialità di questa strada può essere la meditazione della parabola del Padre Misericordioso, che troviamo nel Vangelo di Luca (15,11-32), attraverso l’opera a questa dedicata da Rembrandt, famoso pittore delle Fiandre (attuale Olanda), attivo intorno alla metà del 1600. Il quadro è una tela molto grande di quasi 2.50 metri per 2.00, l’ultima che il maestro dipinse. Rembrandt aveva avuto grandi successi, era stato ricco, venerato e arrogante, ma poi era stato colpito da dolorosi lutti (la morte dei figli e della moglie) ed era caduto in povertà e costretto a vendere i suoi stessi quadri.

L’opera dedicata al Padre misericordioso è creata da una luce molto calda, che fa emergere i personaggi da uno sfondo misterioso: vediamo, sulla sinistra, un uomo di spalle inginocchiato davanti ad un vecchio che lo abbraccia, sulla destra un personaggio molto elegante che assiste alla scena impassibile e altre figure sullo sfondo. Il fascino di questa tela è dovuto al fatto che l’artista rilegge nella parabola lucana la sua vita e la racconta in questa opera, che per questo diventa eccezionale: anche noi possiamo rileggere nel brano evangelico la nostra vita, aiutati e stimolati dall’opera di Rembrandt.

La parabola del Padre misericordioso (o del Figlio prodigo) è uno dei brani più conosciuti e più affascinanti dei Vangeli: racconta la storia di una famiglia, di un Padre e suoi due figli. Il figlio minore vuole avere una sua vita, fare esperienze, viaggi, rompendo con il Padre, escludendo lui e il fratello maggiore, tutto l’ambiente delle sue origini, dal suo futuro, dai suoi progetti. È di viva attualità, sembra un giovane dei nostri giorni più che della terra di Israele di 2000 anni fa. Chiede anche la divisione dell’eredità, che nella società patriarcale del tempo avveniva solo con la morte del padre. Il Padre non ha perplessità, non cerca nemmeno di far riflettere il figlio: gli concede quanto richiede. È uno sprovveduto? È del tutto disinteressato al figlio più piccolo? L’evolversi del racconto ci fa comprendere che ha invece un grande affetto per il figlio, è fiducioso di aver instaurato con lui un rapporto di appartenenza reciproca e di fiducia che non verrà mai meno; e per questo accetta anche di «morire» per lui.

Il giovane uomo parte ricco, in cerca di avventure, pensa di realizzarsi escludendo il Padre, pensando che la sua realizzazione avvenga nel fare cose, esperienze, viaggi, convinto che la felicità dipenda da quello che uno possiede e fa. È questa convinzione che si rivela profondamente sbagliata: perde tutto, compresa la sua dignità; è costretto, dalla fame, a fare il guardiano di animali ritenuti impuri dagli ebrei, in un paese lontano; anzi arriva al punto che vorrebbe diventare come i porci, volendo mangiare il loro cibo. Apparentemente solo per pura convenienza, per opportunismo, costretto dalla fame e dalla miseria, sceglie di ritornare dal padre e si prepara anche un furbo discorso. Ma non c’è solo questo: Gesù parla del figlio minore che «ritornò in se stesso», quindi ritorna nella sua consapevolezza, nella sua coscienza, dove ritrova il Padre, il suo amore e la sua appartenenza. Ritorna e il Padre lo scorge da lontano, lo riconosce nonostante sia trasformato profondamente dal punto di vista esteriore e gli corre incontro facendogli saltare il suo discorso preparato, riaccogliendolo felice di riaverlo in vita, reintegrandolo pienamente nella sua dignità di figlio. Non lo accoglie in casa dignitosamente, facendogli pesare e pagare i suoi errori, la gioia dell’incontro fa saltare tutte le convenzioni sociali.

Rembrandt dipinge la scena in modo commovente: il giovane è coperto di stracci, senza un sandalo con i capelli rasati, con il volto seminascosto nella veste del Padre: del figlio che era gli è rimasta solo una piccola spada appesa al fianco, simbolica della sua perduta dignità e del suo appartenere al Padre. Il Padre è raffigurato come un vecchio con uno sguardo spento, consumato nello scrutare l’orizzonte sperando di scorgere il figlio in ritorno; abbraccia le spalle del figlio con una grande emozione, con una grande tenerezza: le sue mani sono una maschile e l’altra femminile, è una persona speciale, è Padre e Madre al tempo stesso.

Il figlio maggiore, quello per bene, senza grilli per la testa, fedele e lavoratore, rifiuta il ritorno del fratello e lo calunnia anche, affermando che aveva sperperato il suo denaro con le prostitute. Dietro alla facciata di figlio per bene, obbediente, c’è un rapporto con il Padre basato sul «servire», sull’obbedire ai comandi, sulla sottomissione: non si è accorto nemmeno che è entrato in possesso dell’eredità tanto è distaccato, ha paura del Padre che considera padrone. La mancanza di amore vero per il Padre si trasforma in mancanza di amore per il fratello, che forse invidia per il suo coraggio nel cercare esperienze nuove. Il Padre mette nuovamente da parte la sua dignità, l’etichetta e le convenienza sociali ed esce «a supplicarlo», invitandolo a gioire con lui «perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato».

Rembrandt fa del figlio maggiore l’altro fuoco del quadro: è dritto sulla destra, ben vestito, con un atteggiamento e con uno sguardo ostile, del tutto distaccato.

Il cuore visivo del quadro però non è l’ostilità del figlio maggiore e nemmeno la povertà estrema del figlio minore: sono le mani abbraccianti e il volto con gli occhi spenti del vecchio Padre.

Riuscirà l’amore del Padre misericordioso a trasformare l’opportunismo o il servilismo dei figli in vero rapporto di amore? Gesù non ce lo dice: ci invita a riflettere che oltre le nostre scelte, che spesso oscillano fra l’opportunismo ed il servilismo, fra il figlio minore e il figlio maggiore, c’è l’amore del Padre suo e nostro, che tutto accoglie, tutto perdona.

Evidentemente il Padre della parabola è Dio, che Gesù ci propone come Padre e Madre d’amore, riprendendo le intuizioni già presenti nell’Antico Testamento: in particolare è bella e materna l’immagine di Dio che ci propone il Deutero-Isaia nel suo Libro della consolazione; in particolare mi sembrano significativi i versetti 40,10-11 che descrivono la potenza di Dio come un pastore che, nella via del ritorno del suo popolo dall’esilio di Babilonia, assume il lento passo delle «pecore madri», che conduce dolcemente, e porta «gli agnellini sul petto».

Gesù racconta la parabola del Padre misericordioso, con le altre due della pecora smarrita e della moneta perduta, per dialogare con i farisei e gli scribi, che mormorano scandalizzati perché «accoglie i peccatori e mangia con loro» (Luca 15,2).

Quanto è affascinante questa parabola, quanto è vitale il suo insegnamento per noi, oggi. Per noi cristiani che spesso non abbiamo compreso veramente che Dio è Padre e spesso lo viviamo ancora come un padrone con il bilancino che pesa le nostre vite e viviamo il rapporto con Lui come gli scribi e i farisei, pensandolo come una serie di regole e regolette da rispettare alla lettera. E viviamo per questo male anche il rapporto con gli altri, specialmente i cosiddetti “lontani”, che non consideriamo nostri fratelli.

Che grande proposta è questa parabola per le famiglie di oggi, se meditata e giustamente interpretata.

L’opera di Rembrandt ce la rende visibile in modo affascinante, raccontandoci la sua vita, dove è passato dall’arroganza e dalla ricchezza del figlio maggiore alla povertà e al bisogno di riscoprire Dio come Padre del figlio minore.


Don Carlo Prezzolini


(Per approfondire il tema è utile la bella opera di H. Nouwen, L’abbraccio benedicente. Meditazione sul ritorno del figlio prodigo, Queriniana, Brescia, 1999)

Didascalia: Rembrandt, Il Padre misericordioso, 1666, Museo dell’Ermitage, San Pietroburgo

 

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